Giorgio Patrizi in memoria: la figura del sapiente in belle lettere

Giorgio Patrizi in memoria: la figura del sapiente in belle lettere

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di Giulio de Jorio Frisari

Giorgio Patrizi in memoria, studioso riservato e tenero, profondo e schivo. Era, dunque, un modo periferico quello in cui incontrare Giorgio Patrizi: così fu nei corridoi di via Mazzini per la rubrica Radio Tre Cronaca e Letteratura all’interno del contenitore culturale Fahrenheit, da lui condotto. Quell’incontro si è trasformato in un dialogo continuo e sommesso. La sua immagine è orma, ora, è ombra bruniana, opaca impronta di luce, segnato il contorno dall’iridescenza della mitezza vichianamente come “luogo eterno”, la sua figura prende nuovo corpo nelle nostre parole…

Giorgio Patrizi in memoria. Le parole che segnano un evento luttuoso sentito nell’anima sono un mezzo per affrontare il senso dell’abisso, che silente logora sempre la vita umana e appare forte nel dolore. Il senso episodico della vita nella scomparsa di uno studioso riservato e tenero come Giorgio Patrizi, profondo e schivo, rivela bene come gli aspetti più cari dell’esperienza prendono corpo in uno spirito odeporico, come un viaggio sistematico, ben organizzato, sempre aperto alle novità e consapevole della lacerante provvisorietà dell’esperienza: sembra che la levità negli incontri, la simpatia degli animi disposti al dialogo dica sempre di una esitazione trascendentale, che connota l’esistenza umana, e voglia trovare nel senso del periferico, del marginale e del provvisorio un collante che fraternizzi e renda dolce quello che è abisso.

Così le nostre strutture razionali, le parole, i disegni, queste parole, le nostre elucubrazioni e in riduzione, le strutture organizzate che reggono il nostro fare, gli uffici, le stanze, la burocrazia, i concorsi e gli inquadramenti lavorativi, tutto sembra dover aiutare solo ad esprimerci in modo effuso, confidenziale, poetico, ad avvolgerci in una gestualità cara, carezzevole ed a reggere le condizioni di incontri empatici e invece, periferici alla grancassa dell’euforia.

Era, dunque, un modo periferico quello in cui incontrare Giorgio Patrizi, casuale e marginale al reale ed alla ricerca: così fu nei corridoi di via Mazzini per la rubrica Radio Tre Cronaca e Letteratura che casualmente e perifericamente mi fu accettata all’interno del contenitore culturale Fahrenheit, da lui condotto.

Quell’incontro fu poi aiutato da Corrado Bologna per la lettura del saggio Gadda Filosofo, e da allora esso si è trasformato in un dialogo continuo e sommesso dedicato alla teoria della letteratura, ed ha permesso che le mie ipotesi fossero accompagnate da un senso di amicizia nella Filosofia della Lettere, realizzando l’utopia che sostiene l’idea di sodalizio.

In questo soccorrevole senso di comunanza che ha retto le nostre riflessioni mi appariva come il suo Zodiaco, il segno dell’Acquario, non fosse un fatto trascurabile, ma il campo metaforico di una risacca, di uno specchio calmo e profondo, le acque come nella fontana di Treglio in Nievo, luogo di un incanto, locus di una provvisorietà.

Era un fatto, il suo Zodiaco, collocato nel concetto eracliteo del carattere che prescinde dalle notomie e rimanda al mondo delle idee, irrisolvibile, molteplice. Per questo quelle sonorità, nella canzone del 1969, che nei suoi vent’anni, dilagavano accattivanti nelle mode hippies, in una moda che si apprestava con mille distorsioni ad esaltare ogni forma di liquefazione del reale, indiscriminatamente, dovevano invece in lui tradursi e realizzarsi, rivelando profondi valori, nei modi di una percettività di natura artistica racchiusa in una capacità subliminale di intuire il punto nodale presente nelle maglie irriducibili, dei Classici.

In Giorgio i turbolenti stimoli di un periodo incóndito– ironie tra noi sui nazi/maoisti di Freda in testa al corteo di Valle Giulia – si rielaboravano anch’essi in un singolare spirito di euristica, concordando in lui nelle istanze dell’arte che si fa ermeneutica.

Anche questo ha contribuito ad una empatia, ad un senso ancestrale dell’amicizia, astratto dal contesto, riposto in una soffitta lontana che si delinea come rifugio dal mondo della quotidianità e delle meschinità, una soffitta differente da quella della boheme perché invece è metafora di un senso lato, ampio, di un’idea di pace che traluceva dall’atteggiamento di Giorgio,esitante di fronte alle cose, sorridente, ironico, distaccato, morbido: esattamente il contrapposto del potere hobbesiano, o del protagonismo intellettuale, o del concetto machiavellico, in burocrazia accademica.

Infatti la burocrazia come modo di vita era un campo a lui tanto ostile quanto lontano e gli intrighi ad essa ormai geneticamente connaturati erano come tela di tarantola al piccolo di scarabeo, erano pastoie di melma bituminosa all’attonito pulcino.

Sembra che quel mondo dalle reti molli e vischiose lo abbia soffocato, espandendo il suo veleno in modo silente, banale, ingannevole e ce lo abbia voluto allontanare in una rappresentazione della medicina come farsa oscena a spregio dell’umanità, in orrenda beffa.

L’ambiente dei vent’anni di Giorgio, che nella mia Napoli metteva cemento per erigere il disordine del <<kalimba de luna>>, ossia le speculazioni anni ’80, era destinato a rapprendersi nel processo socioculturale assumendo forma nelle centine del nuovo rigore retorico, quello della narratologia e dello strutturalismo, e negli sviluppi delle rivoluzioni di Dionisotti, Muscetta, Folena, Borsellino, nell’esercizio dei canoni narratologici in ragione dei modelli tratti dallo strutturalismo e funzionali a decostruire i dogmi di un tempo.

Le griglie di un nuovo modo della scienza ermeneutica si riconfiguravano sulle idee di Bachtin, Lucaks, la Scuola di Francoforte. All’interno di questo processo prendeva campo il problema dell’immaginazione come sostrato all’inventio in cui l’argomento aristotelico è di natura platonica e con Giorgio si è dipanato nell’analisi delle teorie estetiche che presiedono al senso del fare letteratura, preparando le analisi riferite ai trattati del comportamento che mettono in evidenza le condizioni generali che vanno a costituire, attraverso il canone della conversazione, le condizioni base alla creatività: le continuità tematiche nell’impegno ermeneutico di Giorgio Patrizi rivelano il suo stile di vita, permeato di un esprit che l’indole intuitiva rigenerava in una eloquenza avvolgente, oppure in una pagina che fissando i riferimenti pone scientificamente in essere: <<la condizione orfana dell’individuo che si aggira in una realtà non più illuminata dalla luce delle stelle>>, secondo il concetto di Lucaks.

Ecco che la mitezza di Giorgio sembra testimoniare la natura di una sua coesistente sensibilità, per la quale <<la totalità si è rivelata come impossibile>> e si fa, gaddianamente, tarlo in questo tormento e in questa condizione, per cui rivela così questa consapevolezza profondissima di un senso – discretissimo– della impossibilità alla totalità, che esiste rendendo la vita esitante e dubbiosa, aperta alle innumerevoli istanze del reale, per farsi antinomicamente ed elusivamente – come nel canone della <<Dissimulazione onesta>> di Torquato Accetto –antidogmatica e <<anti-assertiva>>: ecco che in questo la sua mitezza rivela una forza euristica.

I modi di una sua peculiare prossemica pervadono la sua pagina, dove le tesi si accomunano e riordinano per circoscrivere un argomento che si rivela a lui caro, emergendo progressivamente, prendendo corpo, attraverso le ipotesi vagheggiate e poi fissate, raccolte, ponderate, in un andamento utile a proporre, nei modi del dialogo, le deduzioni.

Così il garbo nell’incedere, lo sguardo azzurro, soffice e accogliente, la cordialità sempre tenera permeavano il suo parlare: e le sue relazioni dottissime in graziosissimo, sottile, impercettibile e suadente moto a insensibile climax, socratico coinvolgimento, si snodavano proponendole parole come inizio di un dialogo amicale, ed era il modo in cui proponeva le sue acute e complesse tesi, come fosse gesto che nell’esprimersi si compenetrava alla mano oscillante appena verso la platea, piegando la palma in diagonale, aperta verso l’alto, sopra, come ad offrire, il libro aperto: sembrava voler proporre il testo discusso anche materialmente, come dono e magia, empatica nel Decameron, nella Nona della Decima per Torello, mentre flatus vocis accarezzava l’uditorio.

Insensibilmente così le tesi estetiche di Verga, disseminate in romanzi e novelle, si raccoglievano nella sua ermeneutica in successione logica stringente, trovavano vita, nuova vita, autonomo risorgere nell’ermeneutica di Giorgio: vita che si palesa progressivamente come disegno aureo di fogliame, come un ordine precedente, vissuto ma non compreso, ora, invece, svelato, meraviglioso per luce indicata, ora cesellata, circoscritta, rigenerata a illustrare una filigrana complessa promanata da leggi segrete.

Era un verbo verso cui Giorgio tendeva il secondo sguardo, la seconda vista, cecità di profeta della Pizia e di Demodoco, raccogliendo quintessenze, destino di verità nella ricerca, verbo epifanico lungo linee d’ombra per leggi oscure a tralucere: e sono decisamente ancestrali all’umanità.

Il piglio morbido e sorridente, il moto appena sghembo, l’atto esitante in abbraccio, manifestavano la saggezza di una cognizione, un sentimento di cognizione più che una ragione, il senso di <<akoluthia>>- celebrazione di festa laica e amicale – che qui deve essere ricordato per rigenerazione. Il <<phainomai>>, provvisorietà dell’essere che sembra solo parvenza e che nella tensione euristica, invece, si riscatta aprendosi al domani.

Lui stesso, così, nei modi suoi, Giorgio, ha dato vita ai modi del <<senso che parla del non senso che aspira ad un senso>> ed ha visto l’<<akoluthia>> come luogo alla parola critica che sorge nella mitezza, nei tratti della comunanza, cedendo al rapporto, arretrando nell’atto del proporre, perché per Bachtin la <<parola concepisce il proprio oggetto con un atto complesso>> e la mitezza è luogo alla complessità, gioco di ombre, tendenza ad esitare di fronte alla protervia del reale definito e dominate, ad accogliere il molteplice incipiente. Dialogo all’opposto dell’<<aptum>>, del discorso assertivo.

La sua immagine è orma, ora, è ombra bruniana, opaca impronta di luce, segnato il contorno dall’iridescenza della mitezza vichianamente come <<luogo eterno>>, la sua figura prende nuovo corpo nelle nostre parole, nel concetto proposto da Bachtin, <<in quanto ogni oggetto ‘nominato’ e ‘discusso’, da una parte è illuminato e, dall’altra, oscurato dall’opinione sociale pluridiscorsiva […] e in questo complesso gioco di chiaroscuro entra la parola, se ne satura, sfaccettando in esso i propri colori semantici e stilistici […]

Anche la raffigurazione artistica, l’immagine’ dell’oggetto può compenetrarsi in questo gioco dialogico delle intenzioni verbali che s’incontrano e s’intrecciano in esso, può […] attivizzarle e organizzarle. Se ci immaginiamo l’  ‘intenzione’, cioè la ‘tendenza verso l’oggetto’, di questa parola sotto forma di raggio, allora il vivo e irripetibile gioco dei colori e della luce nelle sfaccettature dell’immagine da essa costruita si spiega con la rifrazione del raggio – parola non nell’oggetto stesso […] ma con la sua rifrazione nel mezzo delle parole, delle valutazioni e degli accenti altrui, attraverso il quale passa il raggio, tendendo verso l’oggetto: l’atmosfera sociale della parola, atmosfera che circonda l’oggetto, fa brillare le sfaccettature della sua immagine>>

Questo, nel dolore, il dovere dell’amore

                                                                                              Giulio de Jorio Frisari

Leggi qui Quando Giorgio Patrizi presenziò alla presentazione del Manifesto dell’e-MOVO Mirr or Art nell’ambito del Convegno “Il continuo e il Simbolo nell’Arte Contemporanea” tenutosi a Bojano

E ancora a Bojano, Giorgio Patrizi era stato protagonista del doppio appuntamento, giovedì 27 aprile 2017, per i 150 anni della nascita di Pirandello, che aveva portato a Bojano esperti e accademici di fama, organizzato dal quotidiano internazionale Un Mondo d’Italiani, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, in memoria di Gerardo Marotta (da poco scomparso) e Centro Studi Agora’ patrocinato tra l’altro dalla Regione Sicilia, oltre che dalla Regione Molise, Associazione Consiglieri regionali della Puglia, Molisè, Citta’ di Bojano, e-MOVO Art, AEM Emotional Manager – Fidapa sez. Bojano, Teatro del Loto, Aitef (Associazione italiana Tutela Emigrati e Famiglie), AICCRE, Associazione italiana Consigli Comuni e Regioni Puglia, IISS Istituti Scolastici Superiori, con il supporto grafico di Eliana Cappussi. Fotografia Matilde Muccilli.

Giorgio Patrizi, docente Unimol, Universita’ del Molise, già nella fondazione Verga come insigne studioso,  aveva in quell’occasione preso la parola, come relatore, invitato da Mina Cappussi e Giulio de Jorio Frisari, investigando la questione dell’Antiromanzo.

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Mina Cappussi

Sono nata il 14 luglio, che è tutto dire! Docente a contratto per l’UNIVERSITA’ ROMA TRE, Facoltà di Lettere, dipartimento di Linguistica, Corso di “Metacomunicazione sul Web e New Media” Laureata con Lode in Scienze Politiche, Master in Management Sanitario Professionale di II livello Master in Diritto del Minore Roma Sapienza, Master in Didattica professione Docente, Perfezionamento in Mediazione Familiare e consulente di coppia Università Suor Orsola Benincasa Napoli, Diploma di Counselor, Master sull’Immigrazione e le Migrazioni Italiane Università Venezia, Master in studi su Emigrazione Forzata e dei Rifugiati - University of Oxford, Master Class in Giornalismo Musicale, Diploma DSA, Diploma Tecnologo per l'Archeologia Sperimentale. Scrittrice, saggista, giornalista, artista, iscritta all’Ordine dei Giornalisti, International Press Card Federation of Journalists, Direttore e Publisher dal 2008 del quotidiano internazionale UN MONDO D’ITALIANI