Quarantena da coronavirus: e ho tempo per pensare alla mia vita, per costruire torri e un cannocchiale

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18 giorni che siamo in casa, io, mio figlio di 18 mesi e mio marito che per mezza giornata lavora per produrre beni alimentari. Da 18 giorni la mia vita non corre più, assaporo ogni momento della giornata, faccio tutto con una calma

(UMDI – UNMONDODITALIANI) Il calendario oggi riporta la data del 28 Marzo! È già primavera, ma qualcosa mi è sfuggito. Corro alla finestra della camera da letto, l’unica dalla quale riesco a vedere un giardino con un grande albero: è pieno di fiori, gli uccellini saltano, cantano… Allora sì, è primavera! Sono 18 giorni che siamo in casa, io, mio figlio di 18 mesi e mio marito che per mezza giornata lavora per produrre beni alimentari. Da 18 giorni la mia vita non corre più, assaporo ogni momento della giornata, faccio tutto con una calma mai avuta prima; eppure sembra non essere affatto un bel momento per l’Italia, ma qualcosa di positivo c’è: stare a casa. Chiediamoci quante volte siamo stati costretti a stare a casa anche in buona salute. Mai. Quante volte siamo stati costretti a non uscire a fare shopping, la spesa, la passeggiata con le amiche, l’aperitivo, il caffè, la palestra, il lavoro, il cinema… Mai! Le nostre vite sono così frenetiche che quando ci si chiede di fermarsi anche solo per un giorno ci crolla il mondo addosso. Io a casa sto bene, ho tutto il tempo per vivere la mia vita con i miei affetti senza sentire il tic-tac dell’orologio che mi ricorda che ho il tempo scandito. Il tempo, che gran tiranno che è. Non si ferma mai, ci costringe a seguirlo e ci rendiamo suoi schiavi. Ora, in questo tempo liberato, mi ritrovo a pensare e a vivere tante cose che nella vita quotidiana ordinaria solitamente mi sfuggono. La sveglia suona e io con molta leggerezza la spengo. Non importa che ore sono, non mi affretto, godo ancora del caldo delle coperte e del suono del respiro di mio figlio. Mio marito, intanto, munito di guanti e mascherina, è uscito di casa già da qualche ora per andare a lavorare.

I RITMI LENTI DELLE GIORNATE, IL TEMPO RISCOPERTO

La giornata inizia: un buon caffè, qualche biscotto, lavori domestici ordinari, le lezioni on line di formazione generale, la ricerca socio-sanitaria, le attività di solidarietà alla popolazione, (già, perché non vi ho detto che sono una operatrice volontaria di Servizio Civile, all’interno del progetto Smeraldo dell’Agenzia Agorà), e poi smart working, giochi, libri, canzoni, e così via fino alla buonanotte. Tutto con molta calma, ho addirittura il tempo di fermarmi a pensare ai miei ricordi, sfogliare vecchie foto, contattare vecchi amici per sapere come stanno. Ho tempo per pensare alla mia vita vissuta, per ridere ancora di momenti allegri, per rispolverare la mia passione per il cucito. Ho tempo per costruire e ricostruire torri con mio figlio, per fare un giro sul triciclo divertendomi come fossi una bambina, per disegnare con gli acquerelli, per giocare a nascondino, per provare a fare le ombre cinesi, per costruire un cannocchiale con il rotolo finito dello Scottex. Ho tempo per la mia famiglia, per coccolarci, ridere e raccontarci storie divertenti, per cucinare e gustare insieme un buon pasto. Ho tempo per stare affacciata al balcone e chiacchierare con l’anziana Adelina, che è sola e ha tanta paura del virus: “Sta girando una brutta influenza, io ho paura e non esco”. Me lo ripete ogni mattina, con un sorriso intimorito e la voce tremante di chi ha vissuto anche la guerra. Ho anche il tempo per accendere la televisione e sentire la conta dei morti del giorno, dei contagiati, dei possibili contagiati e delle persone sane.

IL CUORE SI GELA E C’E’ CHI LAVORA PER ME

Il cuore si gela, fuori dalle mie quattro mura non è tutto così bello, il covid-19 sta mettendo alla prova troppe persone; lì fuori il tempo sfugge, ci sono persone che lavorano per me, mettono in pericolo la loro vita per me, per la mia famiglia e per tanti altri, ci proteggono come se fossero angeli. Mi sento impotente, egoista, mi chiedo di continuo cosa posso fare: stare a casa, è questa l’unica cosa che ci viene chiesta, stare a casa. Si, resto a casa, lo faccio per me e per gli altri, lo faccio per quelli eroi che sono in guerra per difenderci dal virus. E non mi lamento, perché anche loro vorrebbero sicuramente godere del tempo a casa che a me è stato concesso, ma non possono.

IO FACCIO LA MIA PARTE CON LE ATTIVITÀ’ DI SOLIDARIETÀ’ ALLA COMUNITÀ’

Sto a casa, è vero, ma faccio la mia parte come cittadina attiva, come operatore volontario di Servizio Civile: telefono alle persone anziane, alle persone sole. “Come stai zia Carmela? Hai preso il caffè stamattina?” “Buongiorno zio Francesco, hai sentito tuo figlio lontano?” “Ben svegliata zia Anna, che prepari oggi a pranzo?” A volte basta una frase, una telefonata, per far sentire meno solo qualcuno, il nostro vicino di casa, la signora anziana che vive sola a qualche isolato. L’attività in remoto portata avanti nell’ambito del Servizio Civile mi fa sentire un po’ meglio, sento di fare la mia parte, mi sento utile. E mi aiuta a metabolizzare il dolore, quando mi viene da piangere quando vedo le bare in fila in attesa di essere cremate, le terapie intensive piene, gli ospedali pronti a scoppiare, tende al limite della capienza, attrezzate con brandine d’emergenza. Siamo in guerra, la bomba questa volta non fa rumore, non distrugge case, strade, edifici; la bomba distrugge noi esseri umani, uomini, donne e bambini senza distinzione. E LA PRIMAVERA E’ LA’ Torno coi pensieri nelle mie quattro mura, è tutto più bello, apprezzo tutto quello che ho e assaporo con umiltà l’amore per la vita. Corro ancora alla finestra per continuare a guardare da li la primavera che sboccia indisturbata. IO RESTO A CASA! *Cristina Orlando, operatore volontario Servizio Civile Universale, progetto Smeraldo di Agenzia Agorà .

*Articolo scritto da Cristina Orlando

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