IL MOLISANO UCCISO DA UNO IED, IMPROVISED EXPLOSIVE DEVICE, AL BORDO DI UNA STRADA STERRATA A FARAH, IN AFGHANISTAN. LE POLEMICHE DEL PROFILO SU FACEBOOK
Alessandro Di Lisio, molisano di Oratino (Campobasso), caporal maggiore dei paracadutisti della Folgore, in Afghanistan da quattro mesi, è stato ucciso in un agguato a 50 chilometri da Farah. Alessandro era un esperto artificiere che faceva parte di un team specializzato nella bonifica delle strade, prima del passaggio di convogli militari e diplomatici, nato a Campobasso il 15 maggio 1984, solo perché è lì che si trova l’ospedale e il reparto di maternità da quando i bambini non nascono più in casa dalle “levatrici”, ma figlio di Oratino, centro alle porte del capoluogo, caratterizzato da una fervente attività culturale. Alessandro è stato ucciso da uno Ied, improvised explosive device. Ordigni di fantasia, messi insieme con reperti di fortuna, a basso costo, da quei grandi artigiani della guerra che sono gli afghani. Bombe micidiali, particolarmente subdole. In genere gli Ied sono collocati sul bordo delle strade, o più spesso agli incroci, tra la terra battuta e l’asfalto. Una buca, un «piatto di pressione», ovvero una mina anticarro o un proiettile da 150 millimetri, la terra a ricoprire, e un oggetto qualsiasi: un pezzo di compensato, una gallina morta, un cartone o delle lattine a dissimulare il tutto.
Così ieri mattina è morto il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio, 25 anni, molisano di Oratino (Campobasso), in forza all’8° reggimento Guastatori Paracadutisti di Legnago. Gli altri tre soldati che erano con Di Lisio sul blindato «Lince» investito dall’esplosione sono rimasti feriti: il tenente Giacomo Donato Bruno, di Mesagne (Brindisi); il primo caporal maggiore Simone Careddu di Oristano e il primo caporal maggiore Andrea Maria Cammarata di San Cataldo (Caltanissetta).
Tutti italiani, tutti del Sud. Solo un caso che questi giovani impegnati in missioni di pace provengano dal cuore grande di un Sud dove i giovani non trovano lavoro e le possibilità economiche e di occupazione sono legate al clientelismo politico?
Alessandro è forse l’ennesima vittima di un sistema che non riesce a sganciarsi dal fattore clientelare, vittima di quello slancio di ardore e di passione che il Molise ha dispensato a piene mani.
Polemiche sono state innescate da notizie riprese sul profilo facebook di Alessandro. Un ragazzo come tanti, 25 anni e il futuro davanti agli occhi, che sul più popolare social netowork del momento scriveva pensieri, condivideva link, immagini, musica, emozioni. Ma UN MONDO D’ITALIANI ha scelto volutamente di tralasciare la questione per non alimentare polemiche sterili, che mal si conciliano con il lutto della famiglia, della comunità di Oratino, della Regione Molise e dell’Italia.
Il convoglio di cui Alessandro e gli altri soldati facevano parte tornava da Bala Buluk alla base «El Alamein» di Farah, nell’ovest del Paese, stava percorrendo la famigerata Ring Road, quella «517» già trasformata altre volte dai talebani in una specie di trappola mortale per le forze della coalizione che vi transitano. I soldati italiani (una pattuglia di paracadutisti della Folgore e del reggimento Bersaglieri) tornavano dall’aver fornito assistenza e supporto alla costruzione di una caserma dell’esercito afghano. Alessandro Di Lisio viaggiava sul primo mezzo della pattuglia, e stavolta il «Lince» (un ottimo veicolo blindato, che perfino gli americani ci invidiano) non è riuscito a fare il miracolo.
La tensione è crescente nel Paese in vista delle elezioni presidenziali del 20 agosto, e tutto fa pensare che quelle di questi giorni, compreso l’attacco alla pattuglia italiana, siano le «prove generali» del contrattacco che i talebani contano di sferrare alle forze lealiste e a quelle della coalizione in vista dell’appuntamento elettorale, quando gli occhi del mondo saranno puntati su Kabul. L’offensiva, in particolare statunitense e britannica, si concentra nella valle di Helmand, bastione dei talebani e centro mondiale della produzione di oppio. Difficile pensare che in quest’area le elezioni del 20 agosto possano svolgersi regolarmente, anche se nella regione sono stati schierati 4000 marine Usa e 800 soldati britannici che hanno dato vita a una delle più imponenti operazioni militari del dopoguerra. Centinaia i talebani uccisi dall’inizio delle operazioni, anche se manca una stima precisa delle vittime.
di Mina Cappussi
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