Kerstin Bratsch Ruine KAYA KOVO. Arte contemporanea a Roma

Cultura

Per creare i dipinti marmorizzati, Bratsch fa gocciolare inchiostri e solventi su una superficie liquida per creare un motivo, in seguito catturato con un foglio di carta. Fossil Psychic: i colori vivaci degli stucchi evocano mostri prescientifici, ossa, parti del corpo e amuleti rituali. Le opere racchiudono il “wurst-case scenario”, la comparsa tormentata ma magica dell’energia dal più minimale materiale vivente. Palazzo Ruspoli ospiterà la mostra d’arte contemporanea Kerstin Bratsch Ruine KAYA KOVO.

 

(UMDI – UNMONDODITALIANI) Kerstin Bratsch Ruine KAYA KOVO: la mostra d’arte contemporanea presso le Scuderie di Palazzo Ruspoli, sarà aperta al pubblico da venerdì 4 maggio a domenica 11 novembre 2018. Come suggerito dal duplice titolo, la mostra consiste in due sezioni distinte: la Casa e la Stalla. Nella Casa, lo spazio principale della sede della Fondazione, Ruine mostra la pratica individuale dell’artista. KOVO occupa lo spazio più raccolto della Stalla ed è costituito dalle proposte di KAYA, il duraturo progetto collaborativo di Bratsch e dell’artista Debo Eilers. Questa mostra, continua l’interesse di lunga data di Bratsch di espandere e destabilizzare il linguaggio pittorico. Questa metodologia comporta ripetute collaborazioni con artigiani al fine di interrogare e provocare la nozione di soggettività storicamente attribuita alla figura del pittore. Un nuovo gruppo di marbling paintings delle serie in corso Unstable Talismanic Rendering, realizzata con Dirk Lange, maestro tedesco della marmorizzazione, sarà esposto al fianco di inediti lavori in stuccomarmo creati in collaborazione con l’artigiano romano Walter Cipriani. Nell’insieme, l’installazione restituisce la suggestione di un sito antico, una rovina catturata in bilico tra la decadenza e la ricostruzione, una transizione tra spazio liminale e visionario. Per creare i dipinti marmorizzati, Bratsch fa gocciolare inchiostri e solventi su una superficie liquida per creare un motivo, in seguito catturato con un foglio di carta. Il lavoro è il risultato di una collaborazione che coinvolge quattro mani – quelle dell’artigiano e quelle dell’artista – ma impiega anche le forze universali di gravità, repulsione e adesione. Gli elementi non umani lavorano a favore e contro le scelte dell’artista, offuscando gli istinti delle decisioni soggettive.  Ciascuna marmorizzazione, creata appositamente per Ruine, funziona come un talismano, una macro-proiezione o micro-iniziativa sulla meccanica dell’ignoto. Il secondo corpus di lavori di Bratsch in mostra è prodotto utilizzando lo stucco (scagliola), una forma di intonaco originariamente portato nel XVII secolo dalla Baviera come tecnica imitativa del marmo e di altre pietre rare. Il materiale unifica ed estende la logica della materia stabilita dalle precedenti serie dell’artista: le antiche vetrerie, che contengono porzioni di pietre d’agata, e le marmorizzazioni che imitano i fenomeni geologici miasmatici. Le lastre di pietra artificiale di Bratsch restituiscono l’apparenza degli oggetti che imitano (mimetismo di pietra). Questa inversione temporale – o futuro passato – si addice al cosmo interconnesso delle indagini di Bratsch su come la soggettività della pittura sia composita e non lineare. La produzione degli stucchi, tuttavia, è in netto contrasto con le azioni caratteristiche dei marblings – quali il gocciolamento, il caso e il flusso acquoso – presentandosi come un processo resistente e scultoreo, in cui la modellazione a mano sostituisce il segno del pennello fluido. Lo stucco pertanto potrebbe essere letto come una goccia marmorizzata, materializzata e appiattita. La firma dell’artista figura qui come sottotesto: soprannominata Bratschwurst, la distorsione e la materializzazione del proprio nome fornisce un indizio sulle manipolazioni materiche, creando forme simili a “salsicce”, che vengono in seguito pressate in strati piatti. Con il titolo Fossil Psychic, i colori vivaci degli stucchi evocano mostri prescientifici, frammenti di serie passate e future si dividono in ossa, parti del corpo e amuleti rituali ma resistono all’erosione e persistono come pietre, dipinti intrappolati nel tempo petrologico. Le opere racchiudono il “wurst-case scenario”, la comparsa tormentata ma magica dell’energia dal più minimale materiale vivente, il minerale, che si esprime con un alfabeto di gesti pre-verbali, un linguaggio incrostato sotto la superficie. Come parte della residenza offerta dalla fondazione, KAYA trascorrerà un mese lavorando presso la Fondazione Memmo per creare un intervento site-specific: KOVO. Per questa iterazione, il collettivo KAYA – che può essere immaginato come una violenta collisione tra pittura e scultura – presenta una serie di lampade KAYA e pelli KAYA. Questa ibridazione imposta il tono del processo di lavoro di Bratsch e Eilers: i dipinti di KAYA sono semi-umani, evocano spettri di animismo e fantascienza. Nell’oscurità della caverna, sotto il bagliore delle lampade, il duo celebra un rito di evocazione. Eppure i dipinti di KAYA sfuggono alla loro umanità, rifiutando il loro destino predeterminato: sfociano nella barbarie, in un regno animale dove rituali e trasgressioni sono di casa.  Per KOVO, Bratsch e Eilers saranno affiancati dal sound artist e musicista An, di base a Napoli, la cui attuale ricerca si concentra sugli stati preverbali di coscienza e materia nelle sue fasi simultanee di composizione/decomposizione. Per l’occasione sarà prodotto The Year Of The Dog, un album in edizione limitata la cui uscita inaugurerà la nuova etichetta VS. Questo progetto si avvale della posizione e della missione unica della Fondazione Memmo, che ha permesso agli artisti di creare opere in situ e di impiegare materiali e tecniche precedentemente sconosciute, in comunione con il tessuto storico e artigianale della città di Roma.

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